La città di Roma negli ultimi decenni è cambiata molto. Nel secolo scorso la sua periferia si caratterizzava come una struttura omogenea che tendeva a far coincidere sia la dimensione fisica che quella sociale nella stessa condizione di emarginazione rispetto al resto della città. Oggi la dicotomia centro-periferia in termini puramente fisici non è più adatta a cercare di rappresentare la città e la periferia ha subìto trasformazioni che la connotano sotto altre declinazioni. Quest’ultima era quel luogo, fisicamente ben connotato, che si poneva ai margini della città e in cui le disuguaglianze e le speranze dei suoi abitanti venivano ricondotte ad un ideale collettivo in attesa di un riscatto. Riscatto che sarebbe avvenuto attraverso il miglioramento delle proprie condizioni economiche e si sarebbe concretizzato attraverso il trasferimento verso quartieri più centrali; allo stesso tempo ciò avrebbe garantito anche la fine della condizione di disagio sociale tipica delle masse che vivevano in periferia. Questi luoghi erano abitati dal sottoproletariato, o dal proletariato intermittente come lo definiva Franco Ferrarotti, che lavorava nel settore edilizio e che aspirava ad entrare a far parte della città propriamente detta. Oggi la periferia è stata inglobata dalla città. Basti pensare ai grandi insediamenti di edilizia economica e popolare realizzati all’esterno del tessuto urbanizzato: tra questi quartieri e la città c’era il vuoto che oggi è stato colmato perché la città è cresciuta, senza però risolvere la marginalità nella sua dimensione sociale. Anzi, da questo punto di vista i problemi sembrano essersi amplificati e l’immagine dominate della periferia odierna è quella dell’abbandono dei suoi quartieri e dei suoi abitanti. L’azione pubblica che con grande impegno ha realizzato questi grandi insediamenti non è stata successivamente capace di scongiurare l’aumento di disuguaglianze e di disagio, frutto della difficoltà di mediazione tra la governance e le istanze di questi territori. Eppure uno sguardo dal basso e dall’interno delle periferie spesso permette di restituire un’immagine che non è solo caratterizzata dai tradizionali stereotipi del degrado e dell’abbandono, ma è in grado di fare emergere il complesso, quanto poco conosciuto, intreccio di relazioni tra luoghi e abitanti. Emergono soprattutto numerose forme di progettualità; gli spazi pubblici, intesi come luoghi dove si produce una dimensione pubblica, sono spesso frutto di conquista da parte di gruppi di abitanti e di associazioni locali. E’ proprio in questi luoghi che spontaneismo e partecipazione si rivelano veri e propri motori di coesione sociale; più che nel centro storico, sottratto ai romani e diventato museo per i turisti, è proprio nelle periferie che si muove, si trasforma e si produce la città. Esperimenti spesso puntuali che faticano a costruire una rete più ampia che vada oltre la dimensione del quaretiere ma che sono numerosi e caratterizzanti il territorio. La periferia di oggi è disseminata di tanti laboratori sociali che tendono ad essere strumento di aggregazione, di progettazione e di trasformazione del territorio, con l’intento, non sempre facile, di contribuire alla rigenerazione socio-territoriale di luoghi divenuti oramai degradati. Dalla semplice azione di cura e gestione di uno spazio alla costruzione di pratiche di recuparo di luoghi abbandonati, tali iniziative portano i cittadini coinvolti a mobilitarsi verso forme di cooperazione e di valorizzazione delle risorse. Tali pratiche sono, a volte, esperienze ormai radicate nei territori da diversi anni e hanno prodotto un linguaggio di interpretazione delle istanze e dei bisogni locali spesso riconosciuto dalla cittadinanza per cui eventuali piani o programmi di rigenerazione urbana non possono prescindere da queste esperienze nel tentativo di essere incisivi nelle risposte ai problemi. La questione semmai è capire in che modo tali esperienze possano rappresentare esempi riproducibili di produzione di spazio pubblico e in che modo l’Amministrazione locale possa interagire con esse senza doverle necessariamente classificare come un qualcosa che è al di fuori della legalità o di sbagliato a priori. Di fatto queste esperienze sono quelle che hanno tenuto insieme gli equilibri all’interno di quartieri, come quello di Tor Bella Monaca, che hanno subìto negli anni processi di emarginazione non ancora risoluti. Se non ci fossero state queste esperienze di resistenza molto probabilmente la periferia avrebbe sofferto derive ancora peggiori di quelle attuali.

Spazio pubblico e periferie / Montillo, Francesco. - (2021), pp. 44-51.

Spazio pubblico e periferie

Francesco Montillo
2021

Abstract

La città di Roma negli ultimi decenni è cambiata molto. Nel secolo scorso la sua periferia si caratterizzava come una struttura omogenea che tendeva a far coincidere sia la dimensione fisica che quella sociale nella stessa condizione di emarginazione rispetto al resto della città. Oggi la dicotomia centro-periferia in termini puramente fisici non è più adatta a cercare di rappresentare la città e la periferia ha subìto trasformazioni che la connotano sotto altre declinazioni. Quest’ultima era quel luogo, fisicamente ben connotato, che si poneva ai margini della città e in cui le disuguaglianze e le speranze dei suoi abitanti venivano ricondotte ad un ideale collettivo in attesa di un riscatto. Riscatto che sarebbe avvenuto attraverso il miglioramento delle proprie condizioni economiche e si sarebbe concretizzato attraverso il trasferimento verso quartieri più centrali; allo stesso tempo ciò avrebbe garantito anche la fine della condizione di disagio sociale tipica delle masse che vivevano in periferia. Questi luoghi erano abitati dal sottoproletariato, o dal proletariato intermittente come lo definiva Franco Ferrarotti, che lavorava nel settore edilizio e che aspirava ad entrare a far parte della città propriamente detta. Oggi la periferia è stata inglobata dalla città. Basti pensare ai grandi insediamenti di edilizia economica e popolare realizzati all’esterno del tessuto urbanizzato: tra questi quartieri e la città c’era il vuoto che oggi è stato colmato perché la città è cresciuta, senza però risolvere la marginalità nella sua dimensione sociale. Anzi, da questo punto di vista i problemi sembrano essersi amplificati e l’immagine dominate della periferia odierna è quella dell’abbandono dei suoi quartieri e dei suoi abitanti. L’azione pubblica che con grande impegno ha realizzato questi grandi insediamenti non è stata successivamente capace di scongiurare l’aumento di disuguaglianze e di disagio, frutto della difficoltà di mediazione tra la governance e le istanze di questi territori. Eppure uno sguardo dal basso e dall’interno delle periferie spesso permette di restituire un’immagine che non è solo caratterizzata dai tradizionali stereotipi del degrado e dell’abbandono, ma è in grado di fare emergere il complesso, quanto poco conosciuto, intreccio di relazioni tra luoghi e abitanti. Emergono soprattutto numerose forme di progettualità; gli spazi pubblici, intesi come luoghi dove si produce una dimensione pubblica, sono spesso frutto di conquista da parte di gruppi di abitanti e di associazioni locali. E’ proprio in questi luoghi che spontaneismo e partecipazione si rivelano veri e propri motori di coesione sociale; più che nel centro storico, sottratto ai romani e diventato museo per i turisti, è proprio nelle periferie che si muove, si trasforma e si produce la città. Esperimenti spesso puntuali che faticano a costruire una rete più ampia che vada oltre la dimensione del quaretiere ma che sono numerosi e caratterizzanti il territorio. La periferia di oggi è disseminata di tanti laboratori sociali che tendono ad essere strumento di aggregazione, di progettazione e di trasformazione del territorio, con l’intento, non sempre facile, di contribuire alla rigenerazione socio-territoriale di luoghi divenuti oramai degradati. Dalla semplice azione di cura e gestione di uno spazio alla costruzione di pratiche di recuparo di luoghi abbandonati, tali iniziative portano i cittadini coinvolti a mobilitarsi verso forme di cooperazione e di valorizzazione delle risorse. Tali pratiche sono, a volte, esperienze ormai radicate nei territori da diversi anni e hanno prodotto un linguaggio di interpretazione delle istanze e dei bisogni locali spesso riconosciuto dalla cittadinanza per cui eventuali piani o programmi di rigenerazione urbana non possono prescindere da queste esperienze nel tentativo di essere incisivi nelle risposte ai problemi. La questione semmai è capire in che modo tali esperienze possano rappresentare esempi riproducibili di produzione di spazio pubblico e in che modo l’Amministrazione locale possa interagire con esse senza doverle necessariamente classificare come un qualcosa che è al di fuori della legalità o di sbagliato a priori. Di fatto queste esperienze sono quelle che hanno tenuto insieme gli equilibri all’interno di quartieri, come quello di Tor Bella Monaca, che hanno subìto negli anni processi di emarginazione non ancora risoluti. Se non ci fossero state queste esperienze di resistenza molto probabilmente la periferia avrebbe sofferto derive ancora peggiori di quelle attuali.
2021
Cultura come cura. Esperienze di rigenerazione urbana a base culturale nei quartieri prioritari e complessi, al tempo di COVID 19
978-88-501-0408-6
progetto MeMo; periferie; spazio pubblico
02 Pubblicazione su volume::02a Capitolo o Articolo
Spazio pubblico e periferie / Montillo, Francesco. - (2021), pp. 44-51.
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11573/1676713
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